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EMIGRAZIONE ITALIANA
Dai primi anni dell'unificazione nazionale le migrazioni verso l'estero rappresentarono, per un lungo periodo, un fenomeno caratteristico dell'evoluzione demografica, economica e sociale del regno volto alla sopravvivenza stessa degli individui e delle famiglie, resa problematica dalla drastica riduzione delle opportunità occupazionali venutasi a creare in seguito allo squilibrio fra crescita demografica e sviluppo economico. Negli ultimi decenni dell'Ottocento l'Italia si trovava ancora nella prima fase del processo di transizione demografica: alla diminuzione della mortalità non aveva ancora fatto seguito una contrazione della natalità, con un conseguente elevato incremento naturale della popolazione. Nel contempo le trasformazioni delle strutture produttive e in particolar modo i mutamenti delle tecnologie nel settore agricolo e in quello industriale crearono profondi squilibri fra settori produttivi, fra classi sociali, fra aree territoriali, provocando la scomparsa di vecchie professioni e un'eccedenza di manodopera. Dal punto di vista quantitativo il fenomeno assunse dimensioni notevoli. Si stima che fra il 1876, anno in cui si cominciarono a rilevare ufficialmente i dati, e il 1985 circa 26,5 milioni di persone lasciarono il territorio nazionale. All'interno di questo periodo però il numero annuo di emigrati ebbe significative e notevoli variazioni. Gli anni in cui si verificò la massima espansione dei flussi migratori furono quelli compresi fra gli ultimi decenni della fine del secolo e la Prima guerra mondiale (quasi 14 milioni di espatri). La consistenza del fenomeno rese necessaria agli inizi del Novecento l'istituzione del Commissariato generale dell'emigrazione, con lo scopo precipuo della regolazione dei flussi e della tutela degli emigrati. Negli anni seguenti il conflitto l'emigrazione riprese intensamente, con livelli ancora sensibilmente elevati, ma si trattò di un fenomeno di breve durata. Dalla seconda metà degli anni venti infatti gli espatri diminuirono progressivamente a seguito delle restrizioni all'immigrazione poste dagli Stati Uniti e della politica antiemigratoria del governo fascista.

GEOGRAFIA DELL'EMIGRAZIONE. Il flusso migratorio riprese nuovamente vigore dopo la Seconda guerra mondiale, con una intensità che si mantenne costante fino alla metà degli anni sessanta. In quest'ultima fase il fenomeno, pur non raggiungendo i livelli dell'inizio del secolo, ebbe comunque una consistenza ancora relativamente forte. L'emigrazione non riguardò contemporaneamente e in eguale misura tutti i territori dello stato italiano, ma nel corso del tempo furono diverse le aree di provenienza e l'entità dei flussi. Da un punto di vista temporale furono le regioni del nord le prime a essere interessate dal fenomeno, in quanto, essendo le zone economicamente più ricche, furono le prime a risentire degli squilibri legati allo sviluppo industriale mentre, con riferimento alle sue dimensioni, fu dai territori del nordest (Triveneto ed Emilia-Romagna) e da quelli del mezzogiorno (comprese le isole) che si mossero i flussi più consistenti di popolazione. Il ritardo dell'emigrazione meridionale rispetto a quella del nord derivò probabilmente da un coinvolgimento più graduale nei processi oltre che da una generale minor disponibilità di fondi indispensabili per affrontare i lunghi e costosi viaggi. Verso la fine dell'Ottocento l'esodo di massa dal sud subiva l'effetto congiunto di due fattori: la formazione di una nuova domanda di manodopera specializzata negli Stati Uniti, che agì come fattore di richiamo, e la ristrutturazione dei trasporti marittimi prima a Napoli e, in un secondo tempo, a Palermo che, con l'introduzione della navigazione a vapore, portò una notevole riduzione dei tempi e dei costi dei viaggi. Per quanto riguarda le destinazioni delle correnti migratorie, fra il 1876 e il 1885 la meta principale fu l'Europa centrale (circa il 64% del totale degli espatri). I paesi di maggiore attrazione furono la Francia, la Svizzera e, in minor misura, l'Austria-Ungheria e la Germania. Dal 1885 fino agli anni seguenti la Prima guerra mondiale assunsero un peso maggiore le destinazioni transoceaniche, rappresentate soprattutto da Brasile, Argentina e Stati Uniti. Negli anni immediatamente successivi alla Prima guerra mondiale l'emigrazione continentale (prevalentemente diretta verso la Francia) tese nuovamente a superare quella transoceanica, anche perché, come s'è detto, quest'ultima risentì dell'effetto delle leggi restrittive emanate da alcuni paesi di immigrazione (in particolar modo dagli Stati Uniti). Tra la fine del secondo conflitto mondiale e la prima metà degli anni cinquanta i flussi si diressero in misura quasi analoga verso i paesi europei (prima di tutto la Germania occidentale) e verso le nazioni extraeuropee (in particolare l'Australia), per poi orientarsi negli anni seguenti prevalentemente verso il mercato di lavoro europeo.

A. Samoggia



G. Rosoli (a c. di), Un secolo di emigrazione italiana. 1876-1976, Centro studi emigrazione, Roma 1978; E. Sori, L'emigrazione italiana dall'Unità alla Seconda guerra mondiale, Il Mulino, Bologna 1979.
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